Oriana Fallaci è fiorentina. Lo è anche Tiziano
Terzani. E Dacia Maraini lo è a metà (per parte di padre, Fosco
Maraini). Se nella querelle entro anche io - visto che anche io sono
fiorentino - tutti insieme facciamo quasi un en plein. I fiorentini
sono anche contrariosi e litigiosi. E quindi lite sia / per poter
dire la mia. Dacia Maraini esordisce (Corriere del 29/9) con "Cara
Oriana". Si vede che per metà fiorentina non è. Perché quell'esordio
è semmai torinese: falso e cortese. "Cara" un fico secco. Nel
capoverso che segue la cara Maraini dichiara alla cara Fallaci che "l'
ammirazione per il tuo coraggio si è trasformata presto in un
allarme per la tua incoscienza". Per una donna di gentile aspetto e
di modi garbati, questa è secca davvero. Almeno Tiziano Terzani (Corriere
dell' 8/10) esordisce con "Oriana" e basta, senza "carinità", senza
falsa cortesia. Giusto. Visto che il Nostro scrive così: "Nelle t ue
parole sembra morire il meglio della testa umana, la ragione; il
meglio del cuore, la compassione". Con questo supplemento: "La tua
brillante lezione di intolleranza ora influenza tanti giovani e
questo mi inquieta". Per una persona dalla faccia orientalizzata (e,
si suppone, di religione contemplativa) queste uscite sono di
rarissima pesantezza. Deve essere un richiamo della foresta, un
ritorno di fiamma fiorentino. Non è una grande scoperta che tutti
noi leggiamo selettivamente e con dei paraocchi. Ma questa volta la
distanza selettiva delle letture è stata davvero straordinaria. Come
risulterà dalla discussione. Dalla quale si ricava - ne anticipo la
conclusione - che Oriana Fallaci deve aver ragione, visto che i suoi
assaltanti hanno abbondantemente torto. All'inizio mi sono lasciato
un po' incantare dal flauto di Terzani, dal suo dire che "dubitare è
una funzione essenziale del pensiero, il dubbio è il fondo della
nostra cultura". Oddio, questo è il fondo della cultura di Amleto.
Cartesio non scriveva "dubito quindi sono", ma cogito ergo sum. Il
dubbio deve dunque essere inserito nel cogito, nel pensare. E il
dubitare di Terzani - come vedremo - non lo è. Umberto Eco dice su
Repubblica che lui si preoccupa "dei giovani perché tanto ai vecchi
la testa non cambia più". Sarei curioso di sapere qual è la
categoria nella quale Eco colloca se stesso, se tra i vecchi o no.
Comunque sia, io di me stesso lo so: per i giovani sono uno
stravecchio. Il che non toglie - sorpresa, sorpresa - che la mia
testa sia tutta un frullo di cambiamenti. Nel ' 68 scrivevo -
proprio sul Corriere - che la cosiddetta rivoluzione studentesca
preparava l' avvento della asinocrazia, del trionfo degli asini. Il
che mi costringeva, nella mia testa, a vedere con diminuitissimo
ottimismo il progredire della democrazia. Subito dopo la caduta del
Muro di Berlino notavo che la "democrazia senza nemico" era molto
più difficile da gestire della democrazia minacciata da un nemico.
Il che mi induce va a riorientare la mia testa su questo nuovo
problema. E siccome già scrivevo della altissima vulnerabilità della
società tecnologica negli anni Settanta, l' 11 settembre non mi ha
preso del tutto alla sprovvista. Mi sono subito detto: questa è
Hiroshima Due; ancora un inedito, e un inedito ancora più
terrorizzante di Hiroshima Uno. Nel 1945 c' era la guerra e si
sapeva con certezza che la resa (del Giappone) fermava anche il
bombardamento atomico americano. Oggi i confini tra guerra e pace si
sono annebbiati, e oggi nulla ferma più niente. La polverizzazione
delle due torri di Manhattan prefigura un orripilante scenario di "atomiche
di pace" (per così riassumere) che ci possono colpire ogni giorno e
che massacrano alla cieca. Dunque, da u n mese io mi sto rifacendo -
bene o male - una testa nuova che cerca di capire e di fronteggiare
una nuovissima (nonché orribilissima) realtà. Invece per la Maraini
e Terzani è quasi come se non fosse successo niente di nuovo. In
entrambi ripassa il déjà vu di sempre, ripassano i ritornelli di
sempre. Saranno anche giovani, certo più giovani in anni di me; ma
per il criterio di Umberto Eco la loro testa è già vecchia assai.
Dacia Maraini è una bravissima scrittrice di romanzi che leggo
sempre con piacere; ma nel suo discettare etico-politico ritrovo
soltanto gli stanchi luoghi comuni del terzomondismo politicamente
corretto. Tiziano Terzani ci ha raccontato con finezza e bravura
dell' Asia; ma quando cita - come ricette di salvezza - San
Francesco d'Assisi, Gandhi e poi, scendendo di parecchi chilometri,
padre Balducci e il mio collega (alla Columbia University) Edward
Said, allora cita a sproposito. Personalmente io preferisco i
Domenicani ai Francescani. Concedo che Il Cantico di Frate Sole è un
testo di un candore commovente. Ma quel candore non può essere
trasferito da una età davvero primitiva all'età ultracomplicata del
terzo millennio. Quanto a Gandhi, lui aveva a che fare con gli
inglesi, e noi non abbiamo a che fare con dei Gandhi. E padre
Balducci? Pochi sanno chi fosse. Ma a Firenze negli anni nei quali
padre Balducci affascinava il colto e l' inclita (e anche, a quanto
pare, Terzani) c'ero anch'io; e ricordo un dibattito nel quale lui
attaccò così smodatamente il Papa da costringere il sottoscritto,
laico abbastanza catafratto, a fare il papalino, il papofilo. Bel
personaggio quel padre Balducci! Ma sempre più bello del cupissimo
Edward Said, che scrive bene ma razzola malissimo. Il fatto che Said
sia palestinese lo legittima nel suo essere pro palestinesi. Ma non
mi risulta che Said abbia mai condannato i suoi uomini-bomba, ed
esiste una fotografia che lo coglie, in zona Gaza, che lancia un
sasso "intifadico" contro gli israeliani. Lui sarebbe un fautore di
"campi di comprensione invece di campi di battaglia"? On aura tout
vu, se ne vedono (e sentono) proprio di tutte. Terzani scrive: "A te,
Oriana, i kamikaze non interessano. A me tanto, invece". Dopodiché
cita i giapponesi che hanno dato origine al nome, le tigri Tamil, i
palestinesi di Hamas. Fine lì. Terzani è troppo vecchio, direbbe Eco,
per afferrare che i kamikaze di New York sono animali del tutto
diversi da quelli che lui sta ancora studiando. I kamikaze
all'antica - diciamo - si immolano per una loro patria, sono "locali".
La loro causa è concreta e circoscritta. I suicidi di New York e del
Pentagono, e quelli che verranno nella loro scia, sono "globali" e
la loro patria è il Corano, è una fede religiosa. Non si battono per
una loro madrepatria, per la patria nella quale sono nati, ma per un
mondo islamizzato che combatte e punisce gli infedeli. Fa una bella
differenza. Che però a Terzani sfugge. Il Nostro prosegue così: "Non
si tratta di giustificare, di condonare, ma di capire. Capire,
perché io sono convinto che il problema del terrorismo non si
risolve uccidendo i terroristi ma eliminando le ragioni che li
rendono tali". Sante parole, ma soltanto parole. Asserire che il
problema del terrorismo non si risolve uccidendo i terroristi è come
asserire che il problema della criminalità non si risolve arrestando
e condannando i criminali. Vero; ma quale sarebbe l' alternativa?
Eliminare le prigioni e rinviare i criminali a uno "studio Terzani"
nel quale possono essere studiati e compresi? Se Terzani ci sta, io
ci sto. Mi fornisca l'indirizzo e io proporrò (alla Basaglia) che le
prigioni vengano abolite e che i loro inquilini lo vadano a trovare
nella sua baita nell'Himalaya. Poi veda lui. Il punto serio è ,
comunque, che il problema del terrorismo deve essere spiegato dalle
ragioni che lo motivano. Ma Terzani lo spiega asserendo che
l'attacco alle Torri Gemelle "certo non è l'atto di una guerra di
religione degli estremisti musulmani". Per una persona che esordisce
dichiarando di non avere certezze e che per lui la nostra civiltà è
la civiltà del dubbio, questa asserzione è stonata. Ed è anche
infondata. Perché Terzani la sostiene citando un collega americano
di nessuna particolare eminenza (un o tra centomila) per il quale
gli "assassini suicidi dell'11 settembre non hanno attaccato
l'America ma la politica estera americana", colpevole, tra l'altro,
di aver mantenuto, nonostante la fine della guerra fredda, "circa
800 installazioni militari nel mondo". Davvero formidabili questi
fondamentalisti addestrati da Bin Laden. Sapevano, sanno, cose che
non sapevo nemmeno io. Faccio ammenda. Dopodiché passo lo stesso a
dichiarare che questa è una spiegazione risibile. Come ho già
spiegato su questo giornale, chi capisce così non capisce nulla.
Terzani osserva che "se alla violenza dell'attacco alle Torri
Gemelle noi rispondiamo con ancora più terribile violenza... alla
nostra ne seguirà una loro ancora più orribile e così via". Certo,
la violenza chiama violenza. Ma, intanto, non è lecito equiparare la
violenza di chi inizia con la violenza di chi si difende. Uno mi
spara addosso. Io, dopo, gli rispondo contro-sparando. È la stessa
cosa? Ovviamente no. Ciò fermato, qual è l'alternativa? Subire la
violenza, farsi violentare senza reagire, fermare la violenza? Non è
mai successo. Né succederà, questo è sicuro, con il terrorismo
islamico. A proposito, i terroristi chi sono? Cosa li caratterizza?
E, quindi, come li dobbiamo definire? Dopo aver menzionato i
kamikaze giapponesi, i Tamil e i palestinesi di Hamas, Terzani
scopre le sue carte: dobbiamo accettare - dichiara - che anche il
presidente della Union Carbide (il richiamo è alla esplosione della
fabbrica chimica di Bhopal, in India, nel 1984) sia percepito come
un terrorista. Perché dobbiamo accettare che "per altri" (il Nostro
non si scopre e non lascia capire se lui si includa nei suddetti
altri; ma sospetto di sì) il terrorista "possa essere l'uomo di
affari che arriva in un Paese povero del Terzo Mondo" per fare, come
fa, soltanto i suoi sporchi affari. Terzani si rende conto di averla
sparata grossa, e mette le mani avanti. Questo - avverte - "non è
relativismo. Voglio solo dire che il terrorismo come m odo di usare
la violenza può esprimersi in varie forme, a volte anche economiche".
Difatti questo non è relativismo; è pasticciare tutto, è incapacità
di distinguere, incapacità di usare (come prescritto da Cartesio)
idee chiare e distinte. E fa specie che Terzani si lanci all'attacco
di Oriana Fallaci accusando lei di attentare "al meglio della testa
umana, alla ragione". Perché qui è lui che va in clamoroso autogol.
L'Union Carbide come (quasi come) Al Qaeda? Gianni Agnelli come (quasi
come) Bin Laden? Alla stregua di questa logica anche Terzani sarebbe
un terrorista, perché "usa violenza" alla logica. Il punto è che il
terrorismo non può essere definito soltanto come "modo di usare
violenza". A metterla così tutto è terrorismo, e perciò stesso (nota
Mario Pirani) nulla è terrorismo. Ma per chi ragiona e sa ragionare
queste sono soltanto sciocchezze. Vengo a Dacia Maraini. Che
addirittura si appella al Papa: "Nel momento in cui tutti, dal Papa
al presidente degli Stati Uniti cercano di distinguere tra Islam e
terrorismo, tu te la prendi con chi non è pronto a buttarsi in una
guerra di religione. Per te chi distingue tra terrorismo e Islam è
un ipocrita, un fottuto intellettuale. Con questo criterio anche il
Papa sarebbe un ipocrita". Ma occorre davvero arrivare a un
combattimento a colpi bassi, a colpi di Papa? Rileggiamo assieme il
testo incriminato, che dice: "Qui è in atto una guerra di religione,
forse voluta e dichiarata soltanto da una frangia di quella
religione, m a comunque una guerra di religione". D'accordo, a
livello diplomatico dobbiamo essere prudenti, dobbiamo sottacere. Ma
Galli della Loggia (Corriere del 4/10) ha benissimo spiegato che le
prudenze diplomatiche sono una cosa e la verità dei fatti un'altra.
E il fatto è che l'ostilità dei cosiddetti Stati arabi "moderati"
verso il terrorismo "non nasce da un loro supposto moderatismo,
nasce dalla paura del radicalismo militante". Difatti i governi in
questione non sono in grado di "tradurre la l oro paura
dell'estremismo in una qualunque battaglia ideologico-culturale a
favore di una versione moderata dell'Islam... Dalle società del
fronte cosiddetto moderato non è mai venuta una condanna esplicita
contro la sentenza di morte dei mullah iraniani a carico di Salman
Rushdie, contro le pene degradanti e inumane... contro la bestiale
persecuzione di cristiani in Sudan...". Il fatto è, allora, che il
fanatismo fondamentalista non può essere messo in discussione in
nessuno Stato musulmano " perché ciò equivarrebbe a mettere in
discussione in modo pubblico il Corano". Il che è tutto esatto.
Allora, quale sarebbe il terribile, vergognoso sbaglio di Oriana
Fallaci? Forse sta nell'aver detto "forse". Invece avrebbe dovuto
dire: qui è in atto una guerra di religione "anche se" voluta e
dichiarata soltanto da una frangia di quella religione. Ma l'ira di
Dacia Maraini non può essere stata scatenata da così poco. Potrebbe
essere stata innescata dall'attacco di Oriana Fallaci a una Italia "stupida,
vigliacca... imbelle, senza anima"? Non vorrei mai che la Maraini si
sia sentita in qualche modo inclusa in quel ritratto. Sarebbe
peccato. Sia come sia, qui mi interessa la Maraini che ci leziona su
come le culture e/o le civiltà siano o non siano da paragonare.
L'attacco è questo: Tu (Oriana) "con foga impaziente sostieni che
non vuoi nemmeno sentire parlare di due culture, perché le si
metterebbero sullo stesso piano... E parti come un ciclone a fare
quel che chiunque abbia un briciolo di buon senso ti direbbe che non
si può fare: una comparazione fra civiltà". Fermi: qui stiamo
parlando di culture o di civiltà? Dacia Maraini evidentemente
confonde le due cose. Il che, vedremo, è una grave "fallacia". Ma
prima continuiamo a citare: "Non c'è bisogno di aver studiato
antropologia per sapere che ogni confronto tra culture è insensato.
In quanto la civiltà è in movimento... sfugge al concetto di bene e
di male. Ogni cultura... vive di valori, di regole... che non
possono essere disprezzate mai, per nessuna ragione". E dunque,
conclude la Nostra, "lasciamo stare il discorso sulla civiltà. Dopo
millenni di odi e di guerre dovremmo perlomeno avere imparato che il
dolore non ha bandiera". Sì, certo, il dolore non ha bandi ere. Come
qualmente le lacrime sono tutte eguali. Ma cosa c'entra, in questo
bel dire, la civiltà? C'entra se osserviamo che queste sono massime
di alta civiltà (che non sono condivise, vedi caso, dalla "bassa
civiltà" di chi esulta per il massacro di Manhattan). Però perché
dobbiamo abbandonare il discorso sulle civiltà per scoprire che il
dolore non ha bandiere? Il nesso mi sfugge. E mi sfugge perché
proprio non c'è. E temo che tutto il succitato argomentare di Dacia
Maraini sia del tutto s connesso. Il guaio è - già notavo - che la
Nostra non distingue, non sa distinguere, tra cultura e civiltà. Tra
l'altro la sua sola pezza d'appoggio è l'antropologia culturale (l'antropologia
senza aggettivi è un'altra cosa); e l'antropologia culturale non ha,
come suo concetto portante, il concetto di civiltà. Lévy-Bruhl e gli
altri padri fondatori della disciplina hanno esplorato la "mentalità
primitiva" e la sua distanza-differenza dalla nostra (e dalla nostra
logica). E se io mi travestissi da antropologo culturale sarei
prontissimo a sostenere che gli antropofaghi che mangiano i nemici
che uccidono sono molto più "razionali" di chi non lo fa. Se non lo
sostengo è perché la mia sensibilità etica si ascrive ad un'altra
civiltà. Appunto, civiltà. Ma anche a questo proposito ci dobbiamo
intendere. Se io difendo, come difendo, la civiltà occidentale non
lo faccio in sede estetica e nemmeno religiosa. L'architettura, la
letteratura e l'arte di molte civiltà non-occidentali sono , a mio
giudizio, di straordinaria bellezza. E se mi venisse chiesto di
scegliere una religione, io passerei al buddismo (anche se sono
attratto dal nitore e dalla compostezza dello shintoismo). Dunque, e
venendo al nocciolo, qual è la civiltà che io difendo, e della quale
la Maraini e Terzani non danno mostra di accorgersi? È la civiltà
nell'accezione etico-politica del concetto. È la civiltà che ha
conseguito più di ogni altra - sì, al paragone con ogni altra - la "buona
città", la città politica più umana, più vivibile, più libera, più
aperta di ogni altra. È, questo, un paragone "insensato"? È una tesi
che lascio agli insensati che la sostengono. Terzani scrive che
l'intolleranza di Oriana lo inquieta. A me inquieta molto di più,
confesso, la cecità di chi fruisce di una "buona vita" (etico-politica)
che non vede perché non sa vedere in contrasto. Per Oriana Fallaci,
"se crolla l'America crolla l'Europa. Crolla l'Occidente, crolliamo
noi. Blair l'ha capito...". Evidentemente Terzani e la Maraini no.
Perciò sono davvero spaventato.
GIOVANNI SARTORI PROFESSORE EMERITO
Giovanni Sartori (nella foto), fiorentino, è
Albert Schweitzer Professor in the Humanities alla Columbia
University di New York e professore emerito di Scienza politica
all'Università di Firenze. Membro della American Academy of Arts and
Sciences e della Accademia dei Lincei. Ha pubblicato circa 30 libri
tradotti in più di 30 Paesi. Tra questi: "Democrazia: cosa è" (Rizzoli),
"Ingegneria costituzionale comparata" (Il Mulino), "Homo videns" (Laterza)
SU INTERNET Sul sito Internet della Rizzoli (www.rizzoli.rcslibri.it)
è possibile leggere in anteprima l' appendice ("Estranei e islamici")
alla nuova edizione del volume di Sartori "Pluralismo
multiculturalismo e estranei" GLI INTERVENTI Con questo articolo
Sartori interviene nel dibattito aperto dalla "Lettera da New York"
di Oriana Fallaci. Il testo della Fallaci è stato pubblicato dal "Corriere"
il 29 settembre con il titolo "La Rabbia e l' Orgoglio". A questo ha
fatto seguito un articolo di Dacia Maraini (5/10); Sergio Romano
(7/10); Tiziano Terzani (8/10). Tutti reperibili su www.corriere.it